| Eric si svegliò presto, trovando le labbra di Elias sul collo non potè far altro che sorridere e posargli un bacio leggero sulla spalla, e delicatamente, per non disturbare il sonno del ragazzo, si riuscì a liberare dal tenero abbraccio. Quella notte avevano dormito avvinghiati, ma non era successo null’altro. Non facendo caso al fatto che si trovava solo in boxer, si diresse verso la cucina e preparò la colazione per tutti. Decise di apparecchiare nella sala da pranzo, lì era presente una grande vetrata che mostrava tutta la vallata, con i suoi paesini e le sue stradine, all’orizzonte si vedeva una catena montuosa completamente innevata, dipinta del rosa con un pizzico d’oro dell’alba. Gli piaceva quel posto, era la casa delle vacanze della sua famiglia, ma, ora che i suoi genitori erano invecchiati e non avevano più intenzione di passarci l’estati, e non riuscivano a sostenere i pagamenti delle ristrutturazioni di cui necessitava la baita, Eric aveva fatto veramente tanti sacrifici per riuscire a mantenerla in piedi. Da quando le chiavi erano nelle sua tasca, nessuna persona, tranne lui, aveva messo piede in quella graziosa desolazione. Ma ora, le cose erano cambiate, i tempi erano maturi, e Eric voleva rinnovarsi. - Fatto scintille ieri?- Trasalì leggermente, ma riconobbe la voce di Corinna. - No, perché?- Chiese osservando la propria immagine nello specchio, era normale. - Forse per te è normale dormire in boxer con degli sconosciuti… come fai? Io non ci riesco, è imbarazzante solo parlare con delle persone…- Continuò Corinna, con lo sguardo fragile e perso nella tazzina di caffè. Con un vociare non fastidioso ma allegro Rob, Dave e dopo poco Elias entrarono nella sala da pranzo e commentarono felici la colazione pronta. Rob indossava una maglietta a mezze maniche azzurro chiaro, dei jeans scuri e le solite scarpe viola, in sintonia con i capelli che gli oscuravano parte del viso. Dave era elegante con le sue scarpe da tip-tap, con i pantaloni neri, la fascia in vita, camicia bianca leggermente stropicciata e cravatta viola, i capelli neri inanellati contornavano dolcemente il volto. Elias si stiracchiava e distendendo le vertebre la maglietta nera si sollevava e lasciava scoperta la vita sottile. E senza rendersene conto, il fotografo si portò due dita alla bocca, ma risvegliato dallo sguardo insistente di Dave, finse di leccare via un po’ di marmellata di menta. - Ma, voi vi chiamate Purple Cat perché spesso vi vestite di viola?- Domandò Eric sicuro di aver avuto una folgorazione. - Anche, ma il vero motivo è che ho un gattino bianco e, giocando con la tinta per i capelli di Rob, si è rovesciato addosso il flacone e adesso è viola.- Rispose Elias. - Non ci posso credere.- Sbottò Corinna scettica, versandosi addosso metà caffè. - Non ci credi? Allora, come si chiamano le ragazze di Cuba?- Le chiese Rob. - Cubane.- Disse sicura la segretaria, alzando il mento e lo sguardo in segno di sfida. - No, dolcezza, io le chiamo cubiste…- Rispose Rob poggiando una mano sul collo di Corinna, all’attaccatura dei capelli castani, e massaggiando circolarmente con le dita. Eric per distogliere l’attenzione generale dal viso arrossato di Corinna, prese a spiegare nei minimi dettagli la giornata di lavoro che li attendeva. - Quindi le foto le facciamo nel bosco?- Chiese Dave con massimo stupore. - Paura di sporcarti? – Ghignò Rob con fare scanzonatorio e fastidiosamente acido. - Non è un problema, le foto le facciamo al chiuso, a due ore di cammino da qui c’è un rifugio, in questo periodo dell’anno è sempre deserto. Sbrigatevi a finire di mangiare, partiamo subito.- Li rassicurò il fotografo, pulendosi i baffi del latte su una manica.
Si trovavano nel rifugio da già un’oretta, la strada per arrivarci era impervia e costellata di punti pericolosi, in più un pezzo era franato. La session fotografica era finita in fretta, anche perché si erano già abituati alla professionalità di Eric e lo capivano solo con uno sguardo. Corinna osservava distratta il fuoco scoppiettante con un leccalecca alla coca cola tra le labbra, Rob riposava disteso in un letto, Eric controllava nel portatile le foto appena scattate, storcendo il naso o sorridendo con solo un lato della bocca a seconda del risultato. - Elias, possiamo parlare?- Chiese Dave facendo sobbalzare Elias che era perso in una mistica contemplazione del cielo tempestoso che li teneva segregati nel rifugio. - Oh, certo, di cosa?- Mormorò Elias sbattendo gli occhi azzurrissimi. Dave gli fece un po’ di pressione sul braccio e lo scortò verso il bagno, lì si appoggiò al lavandino e invece il biondo si sedette nel freddo pavimento con la schiena aderente alla porta. - Di tuo fratello.- Rispose gelido e un po’ malinconico Dave – Mi manca da morire, a volte mi sveglio e credo che lui sia in cucina a preparare il caffè, te lo ricordi il suo caffè? A volte vado nella panchina davanti a scuola dove ci siamo conosciuti, c’è ancora la sua poesia… Dio, quanto mi manca!- - Perché me lo dici? Perché?- Domandò Elias sbattendo il capo contro la porta. - Perché tu sei suo fratello, e vi assomigliate moltissimo, non fisicamente, ma dentro, avete sopportato gli stesso dolori, avete le stesse passioni e perché io dovevo essere su quell’auto assieme a lui.- Concluse avvicinandosi al cantante. - Lui non era uguale a me… Lui era un eroe.- Borbottò tenendo lo sguardo basso. - Eroe è chiunque per salvare qualcuno rischia la vita, l’eroe è un incosciente con un gran cuore, lo avresti fatto anche tu, non fossi stato così piccolo.- Il batterista si inginocchiò davanti al biondo, gli posò entrambe le mani sulle spalle. - Si, ma perché? Quell’uomo voleva me, non Tristan, e lui si immolava per me. Quello che doveva subire ero io, lui era l’agnello innocente, capisci? Lui lasciava scorrere la situazione, la ribaltava e mi salvava, non quella donna, quella che dovrebbe essere stata mia madre, il mio nido.– Le lacrime si gonfiavano e ingrossavano dentro gli occhi, formando due specchio. Dave non sapeva che rispondere, forse non doveva neppure affrontare l’argomento, ma era un dolore da condividere, visto che li straziava entrambi. Strinse ancora di più la presa sulle spalle di Elias. Dio, le vene di Dave erano ostruite dal troppo cordoglio, erano mesi che neanche guardando il poster di Pamela Anderson riusciva ad avere un orgasmo, si sentiva come un bambino che gioca a chi riesce a stare più minuti senza respirare, si sentiva come una bomba atomica appena sganciata da una qualsiasi Enola Gay su una qualsiasi Hiroshima, si sentiva come un anziano a pochi secondi dallo spirare, con già i parenti e le candele attorno. Quella notte con Tristan era stata la più sofferta e attesa e amata della sua vita. Il cuore batteva fortissimo. Ricordava ogni suono, il CD di Louis Armstrong che scandiva ogni tocco, ricordava ogni colore, le candele che illuminavano soffusamente l’atmosfera, ricordava ogni sfioramento, la mano di Tristan sul fianco, ricordava ogni profumo, l’odore umido e caldo dell’estate, ricordava ogni sapore, la pelle di Tristan percorsa centimetro per centimetro e cioccolata e menta. La confusione era ordinata. La confusione anarchica era dentro. L’ordine meticoloso era fuori. Un grande buco nero risucchiava tutte le convinzioni e le aspettative. Gli veniva da piangere, a trovasi un anno dopo in un maledetto bagno di un dannato rifugio davanti a Elias, con una voglia folle di baciarlo e lasciare scorrere. Lasciarsi trasportare da un fiume in piena, sicuro che basterebbe un’ondata ad affogarti, e sentire il gusto di fango e pietre. - Hey, la tempesta probabilmente ha fatto franare altri punti del sentiero. Corinna, Rob ed io abbiamo pensato che forse è meglio accamparci qui, per stanotte, e visto che siamo in una democrazia, anche se voi siete contrari, siamo noi la maggioranza. Emh… c’è qualcosa che non và?- Eric, spiritello con un tempismo perfetto, era apparso e spalancando la porta aveva fatto cadere Elias che lo studiava sottosopra. - Tutto ok, dormiamo qui. Comunque usare la parola democrazia in questo fottuto paese è solo un straschifosissimo eufemismo.
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