eccomi qui... spero che l'idea piaccia, a me non dispiace!!!
ditemi che ne pensate!!!
Present:
Entro in casa cercando di fare poco rumore.
È un po’ tardi, almeno più del solito.
Apro la porta che scricchiola, scommetto che la mia piccola Madison e Kelly stiano già dormendo.
Mi tolgo le scarpe per fare meno rumore possibile e entro in bagno, per cambiarmi prima di andare in camera da letto.
Faccio piano, ma nonostante tutto prendo contro al comodino, facendo un gran casino.
Una testolina mora si alza dal cuscino, guardandomi un po’ disorientata.
“Mamma?”
“ssh… si amore sono io…” dico infilandomi sotto alle coperte e accarezzandole la testa.
“è tanto taldi?”
“si… adesso dormiamo amore, domani devi andare a scuola…”
Annuisce, stringendosi a me “mamma…”
“dimmi…”
“domani devo fale un compito pel la maestla ma non so come fallo…”
“cosa dei fare amore?”
“devo disegnale il mio papà…” una fitta al cuore, che fa male come un pugno nello stomaco “ma io non lo so come è il mio papà…” lo sapevo che prima o poi sarebbe successo ma… non me lo aspettavo così presto… “mamma… come è il mio papà?”
“adesso dormiamo… domani parlo con la tua maestra…”
“ma mamma…”
“Per favore Madison… adesso dormi…” vedo il suo faccino guardarmi contrariato mentre gli occhi verdi si riducono a fessure.
Tre anni, ha solo tre anni.
Sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto ma non così presto dannazione…
La stringo a me, accarezzandole i capelli.
È troppo presto, tesoro mio…
Mattino, devo portare Maddy al nido e andare al lavoro.
E non ho dormito.
Un misto tra rimorso e paura mi attanagliavano lo stomaco.
“ciao bellissima!” Kelly, la mia coinquilina, appare alle mie spalle allegra come solo lei è alle sette di mattina.
“ciao a te…”
La vedo passarsi una mano fra i cortissimi capelli neri, mentre prende i cereali dal armadietto “allora come è andata ieri sera con Steven?”
“carino… ma non fa per me”
“ma dai! È l’ennesima volta che dici così! Ti ho presentato tutti i miei colleghi per dinci e nessuno fa per te!”
“non so se mi va di prendermi un impegno” le dico seria “infondo ho Maddy, un lavoro precario…”
“appunto” mi dice testarda “io ti presento uomini con un buon lavoro, e tu che fai? Ci dai un calcio! Steve era bene disposto verso Maddy?”
“ma si” replico io “ma non è questo il punto…”
“insomma trovi un ragazzo che non si fa problemi a stare con te, ragazza madre, e ci sputi sopra? Non puoi andare avanti sola per sempre…”
Mi volto a guardarla con un sorriso “ci sei tu no?”
“scusa bella rossa ma non sei il mio tipo… lo sai che mi piacciono le bionde” replica lei sedendosi al tavolo e iniziando a mangiare “ciao Briciola!” dice appena vede entrare Madison.
“ciao amore” dico io mettendole davanti il latte.
Lei mi guarda con astio.
Cazzo, è davvero testona come suo padre.
“che succede?” chiede Kelly passando lo sguardo da me lei.
“la mamma non mi dice come è il mio papà”
A Kelly va di traverso il caffe e tossicchiando cerca di darsi un contegno “ma angelo mio… forse c’è un motivo no?”
“si… la mamma è cattiva…”
Sbuffo “Madison magia che andiamo” ecco, divento fredda con una bambina di tre anni che di sola colpa ha di non sapere nulla.
Vivila questa innocenza piccola mia… un giorno potresti rimpiangerla…
Past:
Ci sono momenti nella vita in cui credi che è arrivato il momento di strappare pagina e guardare avanti, perché semplicemente voltarla, quella fottuta pagina che chiami Presente, non basta.
Che dire di me?
Io ero una ragazza abbastanza normale. Dico abbastanza perché, a parere mio e perciò insindacabile, nessuno al mondo è davvero normale. La mia vita era costellata di giornate di una noia da fare invidia a Pascoli, e mi lamentavo sempre con i miei amici, con i miei genitori e con i miei fratelli…
A quattordici anni ero la più alta dei pigmei, in senso ironico ovviamente, capelli lunghi e neri, pece, occhi verdi, o marroni… un misto insomma.
La mia stranezza risiedeva nel ,mio modo di vedere le cose, e nel modo di comportarmi…
Soprattutto nei riguardi di qualcosa che per il resto del mondo sembrava mostruosa: la morte.
Si, esatto non avete capito male…
La morte per me era… affascinante. Edgar Allan Poe è diventato il mio guru a tal punto da addormentarmi ricordando le sue parole…
I vestiti neri o bianchi goth e i capelli rossi sono arrivati in seguito, verso i miei quindici anni.
Apparte questo però ero la classica teenager, senza altro per la testa che il mio basso e i miei disegni.
Ho sempre amato disegnare, una delle poche cose che mi sono sempre venute naturali.
Così a diciotto anni, dal nulla, decisi di andare in America.
Un posto vicino insomma…
I miei subito si opposero, ma io erano estati che lavoravo quindi avevo abbastanza soldi per provare.
I miei tentarono in ogni modo di dissuadermi, a partire dalle ammonizioni verbali della serie “se te ne vai non sei più mia figlia!” alle lecchinate più insulse come “non stai bene qui con mamma che ti cucina, ti stira e ti vuole tanto bene?”
Inutile, ero decisa e nulla mi avrebbe fermato, nemmeno un cataclisma.
E così, visto che indietro non sarei tornata, alla ceca organizzai tutto.
Il volo e un appartamentino minuscolo dove iniziare qualcosa.
Ma non era come me lo aspettavo…
Arrivata là, a New York per la precisione, mi accorsi che la vita non era affatto facile.
Lavoravo in un pub, dalle sette di sera alle quattro del mattino, e non era un gran posto, ci andavano in pochi e non gli affari erano scarsi.
I primi sei mesi me li ricordo come un continuo lottare per riuscire a tirare avanti…
Non ci arrivavo a fine mese, e facevo gli straordinari in un supermercato per riuscire a sopravvivere.
Non sarei tornata a casa per sentirmi dire ‘te lo avevamo detto!’ dai miei! No, non sarebbe successo!
Non lo avrei sopportato.
Avevo sempre avuto uno stupido orgoglio che mi impediva anche solo di pensare a tornare a casa…
Un giorno il mio capo mi disse che, a causa del poco lavoro e per tagliare le spese, mi avrebbe licenziato tenendo l’altra ragazza, la più brava.
Ecco, era la fine…
Forse gli feci pena, o forse si era affezionato almeno un po’, fatto sta che mi raccontò che un suo caro amico cercava una cameriera, in un locale nel Jersey.
Cambiare stato sembrava la mia sola possibilità di sopravvivenza.
Non era un gran lavoro ma almeno l’alloggio lo avrei avuto assicurato: avrei dormito nel appartamento sopra al locale.
Gli orari erano più pesanti, ma ne valeva la pena.
Accettai e andai in New Jersey.
In viaggio iniziai a chiedermi come fosse il posto…
Poi ebbi la risposta…
Ero in un paesello chiamato Kearny e il locale era molto frequentato visto che era stato costruito praticamente sulla interstatale 506, in un tratto tra il fiume e il verde della campagna.
Era a metà strada tra Newark, la città più grande nelle vicinanze e Belleville, altro paese che non avevo mai sentito nominare,.
Lo so, tutti questi nomi messi giù così non avevano senso, ma tutti i clienti fissi che avevamo venivano da questi posti, principalmente.
Gli altri erano solo di passaggio, che ordinavano birra e bicchieri all’acqua di rose cercando di palpare il culo della cameriera (se ero io, una vassoiata sulla testa non gliela levava nessuno).
Il padrone del locare, un certo Tom, era un uomo anziano, sulla sessantina, con una lunga coda di cavallo bianca e la sommità del capo completamente calva.
È stato con un padre per me, visto che ero la più piccola.
Non ero pratica del mestiere, e lui si era rivelato disponibile ad aiutarmi, prendendomi sotto la sua ala protettiva.
Infondo ero poco più che adolescente…
Le altre due cameriere, Caroline e Denise vivevano in appartamentini di fianco al mio, e devo ammettere che si respirava una bella aria.
Era bello, mi trovavo bene e non dovevo preoccuparmi di andare a vivere sotto un ponte del giorno alla notte.
Ok, non potevo comprarmi la roba firmata, ma stavo bene.
Era poi quello che cercavo in fondo…
Mi affezionai al New Jersey, alle persone calorose, al clima instabile e piovoso, al primo caffè della mattina, passato a guardare l’alba sorgere sopra al Hudson, che anche se era quasi sempre grigio, mi faceva sentire bene.
E poi davanti avevamo Jersey City, e vederla ,la notte prima di andare a letto tutta illuminata mi piaceva particolarmente.
Finalmente mi trovavo bene in un luogo.
Mi piaceva persino il lavoro!
Bene presto iniziai a saltare i miei turni di riposo, per aiutare le altre a preparare le colazioni.
E così, per i primi due mesi vissi solo in funzione di me stessa.
Poi con l’arrivo di settembre cambiò tutto.
L’estate era finita, e tutti tornavano a casa dalle vacanze per prepararsi a tornare al lavoro, e i turni iniziarono a farci leggermente più pesanti per il pranzo e la cena.
Comunque sia, non ho mai mollato.
Nemmeno quel giorno, che tutto sembrava andare male… e poi…
“senta lei” dissi rivolta a un cliente “non si può fumare qui dentro”
Lui mi guardò con un sorrisetto sulla faccia, spegnendo la sigaretta sul tavolo “ma va a fanculo, troia…” mi disse vicino.
Stavo per ribattere ma ci pensò Tom per me.
“avanti stronzo fuori!!! Vattene via di qui e se torni ti mando dietro il cane!”
Sospirai, sedendomi sulla sedia lasciata vuota dal tizio.
Tom mi appoggiò una mano sulla spalla “resisti bambina, ancora un’ora e chiudiamo per le tre del pomeriggio… stasera ti lascio la serata libera…”
“no” dissi con un sorriso “ce la faccio!” mi rialzai andando in cucina.
Era stata una mattinata da inferno, un cosa allucinante, ma mi ci sarei abituata.
Come a tutto…
Dopo pranzo mi dedicai a un salutare riposino, visto che la sera sarebbe stata difficile: era sabato, ovvero il giorno di massima affluenza.
Dopo essermi messa la divisa bianca da Gothic Lolita (è sempre stato fissato Tom con il look Goth, forse anche per questo gli piacevo tanto) e dopo aver raccolto i capelli rossi in due codini andai nella birreria con Tom, mentre Caroline e Denise si sarebbero occupate del ristorante.
Il locale era come sempre semibuio, non a caso si chiamava Dark Moon…
Inizia a sistemare i tavoli, mancava poco all’apertura, una mezz’oretta.
Sapevo che sarebbe stata una serata intensa, ma la cameriera nuova non s era ancora fatta vedere quindi mi dovevo arrangiare.
In poche ore il locale si riempì di odore di birra, sudore e fumo che si attaccava alla pelle per non lasciarla prima di una bella calda.
Ma non devo pensarci adesso.
Era presto, per pensare al bagno.
Mentre tornavo al bancone per le ordinazioni vidi Tom parlare allegramente con dei ragazzi al bancone.
Sette, per l’esattezza, ma non mi soffermai molto su di loro.
Erano clienti come altri, a prima vista.
Ma mi sbagliavo…
“Jessika!” mi chiamò e così mi avvicinai “fermati un attimo o cadrai svenuta”
“ma i clienti” dissi indicando dietro di me, ma lui mi prese il vassoio.
“si fottano per un attimo i clienti e guardo un po’ qui!”
Guardai i ragazzi davanti a me.
Erano uno diverso dall’altro.
Strani, questi tizi…
“loro sono i miei clienti migliori” mi disse, poi guardandomi con fare indagatore mi chiese “li conosci?”
Li guardai tutti in faccia, tranne uno che con un cappuccio sulla testa teneva la testa china.
“no, ma si rimedia” dissi allungando la mano verso il primo “Io sono Jessika…”
“Bob” mi disse lui cordiale “loro sono Frank, Ray, Mikey, Bryan, Worm e quello asociale laggiù è Gerard”
Solo al suono del suo nome alzò il capo, perforandomi con un paio di occhi di un verde devastante.
Mi sorrise, stringendomi la mano, poi tornò a dedicarsi alla sua suo birra.
Sembrava imbarazzato, quasi fuori posto…
Frank invece era l’anima della festa.
Aveva anche lui degli occhi molto belli, statura bassa, e i capelli più strani che avessi mai visto: biondo platino con il ciuffo e la cresta nera.
Mi soffermo ancora sugli occhi, perché erano di una bellezza unica.
Erano luminosi, pieni di vita.
Sembrava un ragazzino.
Mi affezionai a lui subito, era straordinariamente dolce, ma Gerard mi attraeva come una calamita.
Era… particolare, mi ritrovavo molto caratterialmente parlando…
Stessi con loro tutta la sera, eccetto per i momenti in cui dovevo servire i clienti.
Poi venne l’ora in cui i ragazzi decisero di tornare a casa.
“ci vediamo presto,tanto adesso abbiamo un sacco di tempo per venire qui!” mi disse Frank prima di rincorrere gli altri per andare via…
Sorrisi.
Un ragazzino…
“bimba, puliamo doma, adesso vai pure…” mi disse Tom “è stata una serata intensa…”
“ do una spazzata a terra o troveremo un esercito di topi e formiche ad aspettarci per colazione…”
“ok bimba allora a domani…” lo vidi allontanarsi stanco.
Iniziai a dare una prima pulita, e un mazzo di chiavi argentate mi capitarono fra le mani…
Chissà chi poteva averle perse…
Le appoggiai sul ripiano del bancone, convinta che sarebbero andate ad aggiungersi alle mille che tenevamo in una scatola di oggetti smarriti.
Ma mi sbagliavo…
Bussarono alla porta, freneticamente un paio di volte.
Così andai ad aprire…
Mi trovai di fronte uno dei ragazzi di prima, con un paio di grandi occhi verdi.
Quegli occhi verdi che tanto mi avevano colpita…
“ciao” mi disse imbarazzato arrossendo appena “Non è che a pulire ti sei ritrovata per i piedi un mazzo di chiavi?”
“è la tua sera fortunata…” gli dissi facendoli segno di seguirmi.
“Lo penso anche io… ho incontrato un angelo…”
Abbozzai un sorriso.
Non sono mai stata una di quelle ragazzine che arrossiscono nascondendosi, anzi… “ci stai provando?”
Era lui ad arrossire per entrambi…
“se è un si?” mi chiede timido.
“allora eccoti le chiavi… e torna a trovarmi” risposi con un sorriso incoraggiante.
Non era nel mio stile andare con il primo che passa… ma lui mi piaceva molto…
Era leggermente in carne, non molto, e aveva un viso bellissimo.
“ok… allora se torno ti trovo qui?” chiese quasi speranzoso.
“e dove vuoi che vada… emh…tu sei?” nel dimenticarmi i nomi ero un asso…
“Gerard…”
Present.
Usciamo di casa.
Oggi piove un po’, così sollevo il cappuccio a Madison, ha appena passato una bella febbre e non mi va che si ammali ancora…
“andiamo forza” dico sistemandola dietro nel seggiolone.
Salgo davanti e metto in moto.
Passo lungo la spiaggia, c’è meno gente rispetto al centro.
Amo San Diego, è stata una serie di fortunati eventi a portarmi qui, e ci sto davvero bene.
Anche se lasciare il New Jersey è stata dura, la ho lasciato un pezzo di anima…
Non lavoravo più da Tom, quando ho levato le tende ma quelli sono posti a cui ti affezioni, in cui ti senti a casa, anche se il luogo in cui sei nato è dall’altra parte del Atlantico…
Guardo Maddy dallo specchietto, e lei ricambia lo sguardo torva.
È davvero testona, la mia piccina!
“cosa c’è adesso, amore?”
“Lo sai!” mi dice scocciata “Pelchè non mi dici ploplio niente mamma?”
Sospiro… qualcosa posso anche diglielo senza esagerare “il tuo papà abita tanto lontano…”
Mi guarda interessante “e poi? Come è fatto?”
Sospiro di nuovo, non è che mi dispiaccia ricordarlo… solo... fa male… “é… alto, ha i capelli neri e gli occhi verdi…”
“e come si chiama?”
Questo non so se posso dirglielo… “siamo arrivati” dico parcheggiando davanti alla scuola materna.
“Ma non mi hai detto come si chiama il mio papà!”
“si chiama Gerard!”
Mi guarda stupita, poi storce il naso “te lo sei inventato mamma!”
“Non è vero!”
“si… è troppo blutto come nome pel essele velo… sembla da nonno!”
E io che faccio?
Scoppio a ridere prendendola in braccio.
Non ci avevo mai pensato ma è vero…
“ciao Jessika” mi saluta Nicole, la maestra “ciao anche a te, Madison, avanti vai dentro! C’è i pennarelli e le tempere pronte per disegnare…”
“ti dovrei parlare del compito di oggi” dico mentre do un bacio a Maddy e la lascio entrare.
“dimmi tutto…”
“ecco… Maddy non ha mai visto suo padre e…”
“oh” mi guarda sgranando un attimo gli occhi “capisco…”
No, non è vero… non capisci, ma non mi aspettavo il contrario…
“non c’è problema Jessika, le faremo fare qualcosa di diverso”
Annuisco ringraziando e me ne vado.
Che razza di umiliazione, Cristo santo…
Prendo subito le sigarette, ho bisogno di non pensare per un attimo e rilassarmi…
Lo sapevo quando ero in cinta che sarebbe stata dura, crescere Maddy da sola, ma adesso me ne sto accorgendo…
cercherò di aggionare più in fretta possibile, tanto ormai è tutta pronta!!
grazie in anticipo a Gothic Lady89 che si è offerta di leggerla (ci siamo messe d'accordo prima!!)
posso sapere il tuo nome?
preferisco parlare con i nomi che con i nick!