allora....eccomi tornata già così di brutto con una nuova fan fiction...
volevo attendere un mesetto ma le mie tesore più grandi mi hanno che la devo postare, perlomeno per un assaggino...XD
dunque....chiunque ami lyn-z può forse evitare di leggerla, non perchè ci siano particolari offese....ma...diciamo che sta in più...
visto che la prox settimana sarò in trasferta oltreoceano deb si è offerta di postare qualche capitolo al posto mio, sempre se qualcuno ha voglia di leggere....volevo smettere di scrivere, e di scrivere sui mcr...ma ahimè...ancora una volta mi ci sono infangata....
beh dunque...ecco il primo capitolo....non mi resta che dirvi...buona lettura....spero vi piacciaaaaaa
Capitolo 1
Mancavano poche ore e se ne sarebbe tornata da dove era venuta. La sua città natale le mancava molto dopotutto, anche se avrebbe dovuto lasciare le sue compagne universitarie e non era certo un pensiero piacevole. Non le salutò neppure, per non cadere nelle loro braccia in lacrime e non riuscire più a scollarsi da quel posto.
E così lasciò un semplice foglietto sul tavolo accanto al cestino della frutta con le chiavi, ancora con il suo portachiavi a forma di fragola appesa, affinché Marit, la ragazza a cui apparteneva l’appartamento che aveva affittato un paio di stanze per le universitarie, avesse un vago ricordo di lei negli anni futuri.
Non avrebbe più fatto le festicciole alle 4 del mattino, con tanto di pasta aglio olio e peperoncino; niente più risate tutte e quattro le coinquiline assieme davanti a yole tube, davanti ai filmatini delle prese in giro degli emo.
Scese dal treno dopo un viaggio estenuante sotto il sole dolce e morbido del mattino e con le valigie appresso si diresse fuori della stazione e cercò un taxi.
Il sole splendeva alto nel cielo, anche se un venticello leggero si insinuava tra i suoi capelli mossi come tanti mani dispettose e maliziose.
Non aveva chiamato i suoi perché andassero a prenderla, erano mesi che non si vedevano e lei non li chiamava da un bel po’ di tempo, non ne sentiva il bisogno, come non lo sentivano loro.
Aveva le chiavi dell’appartamento di sua madre però e decise di andare lì, facendo quasi una sorpresa. Odiava sua madre, odiava quel che aveva fatto, ma per non creare scompigli cercava di stare con lei il tempo uguale che trascorreva anche con suo padre.
Quella donna se n’era andata di casa, senza dire nulla, abbandonando due figlie piccole, che poi, dopo un po’ si trovarono improvvisamente con due padri. Quel tipo, o meglio, come lo chiamava lei, “l’uomo di sua madre”, pretendeva di essere chiamato papà, pretendeva di avere la responsabilità su quelle due ragazze, portandole via dal loro vero padre.
E fu così che Amy decise di andarsene di casa, se ne andò a New York per gli ultimi due anni della High School e per l’università.
“Salve, Darwin Street 13 per favore” si rivolse al taxista con aria stanca mentre lui riponeva le valigie nel bagagliaio.
Durante il tragitto cercò le chiavi in borsa e le tenne strette in mano, premendole contro il portafogli.
“Eccoci qua signorina..” il taxista scese dall’auto e scaricò le valigie mentre lei scendeva dall’auto e squadrava il palazzone giallo che le si innalzava davanti.
“Sono 8$ ragazza”. Ma lei non badò ai soldi e gliene porse 10, lasciandogli il resto.
“Molto gentile, grazie e buona giornata signorina” le disse educato, mentre lei faceva solo un cenno con la testa senza scollare gli occhi dall’edificio.
Stava lì, su quel marciapiedi, mentre il mondo le passava davanti, mentre le campane suonavano inesorabili e spietate le 11 del mattino.
Un ragazzino buffo la schivò per un pelo con la sua bicicletta, tanto che tornò al mondo reale e si mosse, prendendo le sue valigie con fatica.
Salì con l’ascensore fino al terzo piano, e fu come la prima volta che entrava in quel luogo, l’odore di nuovo, la vernice fresca, i mobili appena comprati. Si sentiva sola però, terribilmente sola, come se fosse appena entrata in uno dei casini più grandi della sua vita.
Percorse il corridoio lungo e poco illuminato, le pareti lisce e bianche spatolate; prese le chiavi con la mano destra e mollando una delle valigie che aveva per mano si fermò davanti a quella porta blindata scura infilando la chiave lentamente nella toppa.
Fece un respiro profondo, non sapeva che avrebbe trovato; temeva di trovare sua madre a letto, assieme a lui, ma si impose di scacciare quel brutto pensiero.
Si diede una scrollata e aprì la porta decisa lasciandola bene aperta.
La prima cosa che pensò fu “Ma che stracazzo ha fatto mia madre ai mobili?? Non era sempre a corto di soldi?!”
Ebbene, tutto era arredato in modo molto moderno: un divano nero in pelle ad angolo occupava gran parte del salotto, mentre accanto ad esso c’era un grande acquario con tanti pesciolini colorati e una credenza in legno nero molto semplice che sosteneva anche un televisore al plasma molto ampio.
La solita parete di vetro divideva il salotto con la cucina, ma non si intravedeva neanche un’ombra in movimento. Il suo cuore iniziò a battere forte, e di nuovo la sua mente fu sovrastata dai brutti pensieri.
Appoggiò le valigie accanto all’attaccapanni dietro la porta che chiuse alle sue spalle. Tremava, leggermente, perciò distese un po’ le braccia e andò in cucina in cerca di una mela.
Anche lì, tutto diverso: le porte degli armadietti erano bianche con dei disegni neri, il tavolo della stessa fantasia con un centrotavola sopra e un vaso di girasoli. Non c’era segno di frutta però, e questo Amy lo trovò molto strano, non era solito di sua madre non comprare frutta fresca.
Si mise alla finestra e tirò la tendina nera trasparente per dare un’occhiata fuori, verso i parcheggi del palazzo.
“Ma che fine hanno fatto tutti?! Mia madre che era tanto povera di soldi ha cambiato tutto, ha per caso fatto un colpo al bingo?!!” pensò confusa.
“Hey!!” Una voce nota, ma non troppo familiare.
Si voltò di scatto e trovò sulla porta della cucina un ragazzo, affascinante, con i capelli neri un po’ scompigliati, due occhi felini e un’espressione seria e interrogativa.
“Chi saresti tu?!” le chiese restando sulla difensiva.
“Cazzo, vuoi vedere che è il figlio nascosto del tipo di mia madre e io non ne ho mai saputo una mazza?!” le venne istintivo pensare mentre lo fissava.
“Beh? Sei muta??!” il suo tono si alterò un po’ di più.
“Hem, ciao…scusa, io..sono la figlia di Grace..non c’è?!” chiese timida cercando di sorridere appena.
“E chi è sta Grace?! Io non conosco nessuna Grace..” le rispose avanzando di due passi.
“Ma come? Non abita più qui? Oh cazzo…” si mise le mani sui capelli mentre cercava di reprimere la rabbia che la stava per far esplodere.
“Hm, forse ho capito chi sei.. tua madre abitava qui vero? Ma se n’è andata a Chicago cinque mesi fa, non te l’ha detto?!”
Non riusciva a crederci, prima di tutto, erano cinque mesi che non si vedevano?? A lei sembrava così poco invece; e poi…a Chicago??!
“Temo di no, deve essere un particolare che le è sfuggito di mente” disse a denti stretti, se l’avesse solo avuta davanti in quel momento l’avrebbe sbranata come un lupo affamato di sangue.
Il moretto si fece avanti e spostò una sedia dal tavolo.
“Dai siediti, ti preparo un caffè” disse, tramutandosi in una persona gentile e comprensiva da subito.
“No, non ti disturbo, scusa per l’errore..” scosse la testa e si mosse verso la porta.
“No dai, sono a casa da solo, non disturbi”
Mentre preparava il caffè Amy ne approfittò per andare a sciacquarsi la faccia davanti allo specchio, ponendosi mille domande in un unico “perché”.
Tornando verso la cucina passò davanti alla camera da letto e non poté evitare di notare il letto disfatto, una parete tutta coperta da una pittura su tela che rappresentava una donna in arte francese; tuttavia ciò che la colpì di più fu una fotografia, anzi, due fotografie.
Una rappresentava quel ragazzo assieme ad una tipa dallo sguardo malizioso, l’altra invece ritraeva lui assieme ad altri quattro ragazzi, tutti sorridenti. Uno bassetto con un sacco di tattoos, uno biondo dal visetto timido con lo sguardo dolce e buono, un altro con una chioma fiorita al posto dei capelli e un ultimo moretto con l’aspetto mingherlino e l’espressione timida.
Se ne tornò in cucina, per non destare sospetti al ragazzo, visto che era un po’ che era uscita per andare in bagno.
Si sedette a testa bassa e lui poggiò le tazze col caffè sul tavolo. Amy ne prese subito in mano una e ne sorseggiò il liquido nerissimo e amaro. Aspettava un buon caffè con ansia.
“Tu sei Gerard Way..” disse calma e placida.
Lui sfoggiò un sorrisino mentre sollevava la tazzona blu tra le mani.
“Non so se pensare: te ne sei accorta solo ora; oppure sei una mia fan sfegatata e sei invasa in casa mia e hai fatto una scenata; o ancora dove cacchio l’hai scoperto qui dentro?!”
Lo pensava meno sfacciato e lo guardò con due occhi infuocati. “Ok, scusa se ti ho disturbato, di nuovo, grazie del caffè, e buona continuazione di vita…” disse inacidita posando la tazza sul tavolo e raggiungendo le sue valigie.
“Hey aspetta dai, ok scusa, ma sai, non mi fido mai, non è la prima volta che mi capita qui magari una travestita da postina che poi dice “Gerard sposami ti prego!!”, sai no?!”
Amy lo fissava con gli occhi sbarrati, non lo credeva così sfacciato e modesto.“Cazzo, poca modestia eh?! Me ne vado..ciao!” disse raccogliendo man mano le sue cose.
Ma lui la fermò a metà corridoio “Hey! Aspetta” e la raggiunse tra quelle due mura strette.
“Queste?!” fece, facendole penzolare le chiavi davanti al naso.
“Beh, che me ne faccio di quelle? Tientele pure, tanto io non ci dovrò più aprire la porta..” e allargò un sorrisetto scocciato.
Fece altri due passi, prima di schiacciare il pulsante dell’ascensore, prima che lui potesse fermarla di nuovo. “Aspetta un secondo..” le disse porgendole la mano. “Non mi hai nemmeno detto come ti chiami..” abbassò il tono di voce e i suoi occhi si addolcirono mentre scandiva bene quelle parole.
“Beh, non so se è una buona idea presentarmi, comunque…mi chiamano Amy..” disse un po’ sgarbata.
Si guardarono un attimo negli occhi, prima che lui potesse chiederle “Ma ora ce l’hai un posto dove andare?!”. Forse l’aveva vista abbattuta e nei casini.
Lei senza però scoraggiarsi gli rispose senza paura “Non lo so, presumo che rimarrò qualche giorno al motel dietro l’angolo, finché non troverò una soluzione”.
Lui socchiuse le labbra come se volesse dire qualcosa, ma riuscì solo a richiuderle e ad abbassare la testa mentre lei saliva sull’ascensore e le porte si chiudevano separandoli forse per poco, forse per sempre.